I campi di battaglia non meritano la neve.
A questo pensava Edgar mentre correva falciando il panorama immacolato dell’Illinois. Silenzio, candore, bellezza non possono soffocare di colpo quei cadaveri dilaniati dai fucili, quelle budella ancora fumanti, quei cavalli crivellati di pallottole. Non possono.
Correndo, il campo bianco come tela si riempiva di quelle visioni sporche di morte. Presto i sudisti lo avrebbero raggiunto, oppure gli unionisti da cui aveva disertato, non lo sapeva. I proiettili avevano tutti lo stesso colore, e la morte lo stesso sapore.
Le sue orme sulla neve risaltavano come carbone su sale, ma le foreste erano tappezzate di mine antiuomo. Sempre la stessa dannata neve, poi, ammantava i punti di orientamento, con il risultato che Edgar sapeva solo che Rockford si trovava ancora troppo a nord, e che la scia di sangue dalla sua gamba sarebbe risaltata ancora di più.
Un'abitazione in legno e pietra si stagliò improvvisamente tra il biancore talmente accecante da risultare doloroso. Dentro, solo assi marce e sedie rovesciate. Se era stata abitata, doveva essere stata abbandonata prima della guerra, ma c'erano coperte e finestre da cui controllare la zona, questo bastava.
In lontananza ecco già il respiro della morte: quattro cavalli, quattro uniformi sudiste.
Edgar si strinse una pezza al polpaccio pregando di evitare la necrosi e salì verso il punto più alto, una soffitta umida, quando il suo addestramento lo fece scandagliare il luogo. C'era qualcuno, lo percepiva. A terra, barattoli di salsa di pomodoro leccati fino alla latta, in un angolo un letto di paglia e coperte disfatto, e ovunque la sensazione bruciante di due occhi disperati come i suoi.
«Esci, cane!».
Un mormorio sommesso, un singhiozzo, quasi. E una manina bianchissima, aperta, alzata in segno di resa. Una bambina. Cosa ci faceva, lì?
«Sei sola?».
La bimba, nove anni al massimo, annuì. I soldati dovevano essere vicini, ormai. Non potevano vederla. Edgar si mise il fucile dietro la schiena e se la caricò in braccio: in soffitta, la nascose in un armadio e le disse di non uscire, che sarebbe tornato, che le avrebbe portato del cibo. Dio, era pelle e ossa.
I sudisti spalancarono la porta e uno si prese una pallottola in fronte prima ancora di respirare l'aria di chiuso. Edgar ricaricò il fucile nascondendosi dietro la parete di pietra, che venne bucata come un setaccio per l'oro. Ma aveva una buona mira, e pazienza, e anche il secondo fu presto freddo. Il terzo finí sotto la lama del coltellino a serramanico che gli aprì la gola come burro. Con il quarto la situazione fu più sporca: era un ragazzino, ma quelli sono più pericolosi, rapidi e leggeri. Si attorcigliarono a terra come furetti e uno ci rimase.
Stremato, Edgar rimosse le armi che si portavano addosso, un paio di scarponi, del tabacco e due giacconi pesanti. Portò fuori i cadaveri, dal lato della casa senza finestre, così che se la bambina avesse guardato fuori non li avrebbe visti, e li nascose sotto la neve alla bell’e meglio. Tre dei cavalli erano scappati via, uno era rimasto lì, chissà perché, forse perché un Dio in fondo esisteva. Dalla sacca che portava estrasse dei viveri: pane, carne essiccata e carote.
Si accese una sigaretta e la fumò come se leccasse miele dalle labbra di una donna.