D’un tratto George si trovò smarrito, in quella corsia di supermercato, tra la farina 00 e lo zucchero di canna. Nella mano sinistra reggeva il manico di un cestino di plastica vuoto, nella destra la lista della spesa. Si guardò intorno e poiché doveva prendere mezzo chilo di petto di pollo, decise di chiedere consiglio a una signorina che, accanto a lui, stava valutando se fosse meglio acquistare zucchero bianco o dolcificante senza aspartame. Lei si voltò con uno sguardo da cerbiatto, di chi non si aspetta che uno sconosciuto le rivolga la parola, incorniciato da un bob medio di capelli lucidi e castani. Dietro alla sua figura una bambina, nove anni al massimo, stringeva un coniglio di peluche. Non gli erano mai piaciuti i conigli, da quando avevano quasi staccato un dito a lui e a suo fratello.
«Petto di pollo?» mormorò la donna. «Sì, venga con me.»
«Grazie, non conosco bene questo supermercato.»
«Non si preoccupi, io ci vengo spesso.»
Lo scortò verso il reparto macelleria, indicandogli le confezioni di pollame: petto, cosce, ali. George scelse quello più economico e tornò a esaminare la sua lista.
«Vuole aiuto anche con il resto?»
Guardò la donna: aveva le dita sottili e la pelle d’ambra. La bambina intanto le trotterellava intorno come un king spaniel senza guinzaglio.
«Se non le dispiace, volentieri.»
Lei prese il post-it tra le dita sottili e camminò con sicurezza tra le corsie. Sopra alle loro teste, le plafoniere ronzavano emettendo una luce biancastra e surreale.
«Ecco, le casse sono di là. Anche noi abbiamo finito.»
«Grazie…»
«Malia, mi chiamo Malia.»
Un bellissimo nome, libero, che profumava di fiori di ibisco e collane hawaiane.
«George.»
Alle casse, la donna pagò per pochi articoli: un sacchetto di farina, uno di zucchero, sei mele Golden Delicious, una bottiglia di vino rosso e un pacchetto di crackers. Forse viveva da sola con la figlia, che in quel momento non smetteva di osservare George, con quello sguardo fisso e imbarazzante che solo i bambini hanno.
George pagò per primo e aspettò la donna per ringraziarla, prima di uscire nel parcheggio.
«Le andrebbe di venire a casa con noi? Fuori è tardi e pensavamo di fare una torta di mele. Vero, Summer?»
La bambina annuì, stringendo il coniglio bianco al petto.
«Oh non saprei, davvero.» Ma in effetti gli avrebbe fatto piacere un passaggio a casa, dopo una fetta di torta.
Malia aveva un sorriso ampio e, ora che le vedeva sotto alla luce del sole, delle efelidi sul naso. Doveva avere una quarantina d’anni, o poco meno. Acconsentì e si trovò all’interno di una Ford che profumava di muschio bianco e divorava l’asfalto a una velocità sicuramente maggiore di quella consentita.
«Allora, George», cominciò, abbassando il volume della radio. «Di cosa si occupa?»
«Sono insegnante di matematica» rispose lui guardando fuori dal finestrino. «Alla Boston University.» Non amava vantarsi.
«Matematica? Che corso? Io ho studiato fisica.»
Non l’avrebbe mai detto, come se guardando una persona avesse potuto indovinare il suo curriculum.
«Statistica e modelli probabilistici.»
«Oh, io lo odiavo» rispose lei ridendo. «L’unico esame che ho dovuto ridare tre volte. Sono arrivata a sognarmi il professor Field di notte.»