Mamma e papà dicono che non c'è niente di male a stare da soli tutto il giorno, che stimola la creatività. Ma lui si annoia lo stesso.
Ha i suoi giochi – le macchinine, i soldatini, i dinosauretti – ma i dialoghi sono sempre monologhi, tutti i personaggi hanno la stessa voce, e già troppe volte i dinosauretti hanno invaso il campo di guerra divorando i soldatini.
Nelle rare volte in cui può uscire, Adam corre fuori dal faro, verso la scogliera, dove il mare diventa sapore e non più rumore, dove gli piove sulla lingua, salato, e si ritira come un mostro che ringhia sconfitto.
Adam immagina di comandarlo, di ordinargli un'onda più grossa o di ritrarsi più velocemente, e quando il vento e la marea sono a favore dei suoi dettami, tira in su il mento, ebbro della sua potenza e dimentico della sua solitudine. Ma altre volte il mare è piatto, e dagli scogli può vedere i pesci che stanno così, fermi e obliqui, a guardare verso il basso, come incastrati nell'acqua. Allora torna la noia, e rincasa, perché oltre al mare e agli scogli c'è ben poco, intorno al faro: un vialetto sterrato e una macchia di foresta un po' secca, come se gli alberi non fossero riusciti a scendere a patti con la salsedine e il vento che odora di pesce.
«Perché non posso tornare a scuola?» chiede un giorno alla mamma. Non se la ricorda, la scuola. O meglio, solo frammenti: i lacci delle scarpe sempre allentati, le gare di corsa nel cortiletto, i compagni in riga per l'appello.
«Te l'ho già detto, Adam. Preferiamo insegnarti tutto noi, qui, al faro.»
Ma l'insegnamento è noioso, e mamma è spesso presa dal suo lavoro, quale che esso sia. Papà va via la mattina e torna la sera, poi sale in cima al faro a controllare la lanterna e scende ad allungare le gambe davanti alla tv. Ad Adam non è permesso guardare la tv, troppe cose brutte succedono nel mondo, e lui è un bambino suscettibile e speciale. Suscettibile non lo ha capito, ma speciale sì, e allora ricorda che lui in effetti comanda il mare, e quindi va bene così.
Ma quando spegne le candeline del suo nono compleanno si dice che no, non va bene così, e che speciale non vuol dire niente perché un giorno mamma gli ha detto che tutti sono speciali, e se tutti sono speciali significa che nessuno lo è.
Così comincia ad allontanarsi e a raggiungere i luoghi proibiti, come la macchia di foresta secca: papà non vuole che ci vada, perché lì c'è la croce di legno bianca con la M. che ha piantato quando si sono trasferiti al faro e che non sa per chi sia. Inoltre, qualcuno potrebbe vederlo, e questo non deve succedere. Ma lui ci va comunque, perché è un bambino grande ormai, e perché là ci sono gli animaletti, qualche uccellino, qualche coniglietto, e almeno quelli non sono stupidi come gli sgombri. Con loro si sente meno solo. Ma un giorno la mamma lo scopre, lo prende per un braccio e lo chiude in camera per una settimana. La sente piangere, da fuori, mentre gli urla che non deve più uscire. A sera il padre glielo ribadisce con le botte, e Adam si fa piccolo contro il letto, ma le sue lacrime ora sono di rabbia, non di pentimento.
Dopo che è andato nella foresta, il latte gli sembra più amaro del solito, e ora quando lo beve gli gira un po' la testa. Ma la mamma vuole che lo beva sempre tutto, fino all'ultima goccia, e in cambio gli concede di mangiare i cereali che gli piacciono tanto, quelli con l'orso bianco sulla confezione. La mamma è più buona del papà. Spesso, di sera, li sente parlare forte, ma quel forte degli adulti che bisbigliano. A volte fanno così anche al telefono con l'Uomo Blu, forse per non farsi sentire da Adam.