Chantal Lengua

Nike

A quel tempo il Louvre vantava ancora il suo primato sulla scena mondiale con i suoi otto milioni di visitatori annuali. Fu per questo che se ne accorsero quando fu troppo tardi.

Era un giorno come un altro. Truppe di cinesi armati di macchina fotografica, bambini annoiati che giravano succhiandosi le dita fino al polso, studenti d’arte che entravano un’ora prima della chiusura per vedere la Gioconda più da vicino dei canonici tre metri di turisti. Le guardie di sicurezza sorvegliavano gli ingressi, i metal detector suonavano a ogni parvenza di metallo, le borse venivano spalancate come bocche di coccodrilli. Il personale del museo era addestrato a furti, fughe, attentati: centinaia di occhi ben attenti scrutavano ininterrottamente quelle stanze da miliardi di dollari. Ma nessuno avrebbe potuto prepararli a quello che sarebbe successo.

Tutto era nato da un laureando di Beni culturali dell’Università di Toledo, un ragazzetto allampanato e dall’aria nervosa: guance emaciate, occhi cerchiati e cipiglio inquieto. Un ventunenne col berretto calato sulla fronte a coprire le sopracciglia, che picchiettò sulla spalla del curatore della sala.

«La Nike si è mossa».

«Scusi?».

«La Nike, dico. Si è mossa».

All’inizio si credette che fosse un problema di lingua; si sa, gli spagnoli, i francesi, gli accenti, le intonazioni, quella roba lì. Ma poi il ragazzo cominciò a essere così pressante che il curatore della sala, per farlo tacere, fu costretto ad avvicinarsi alla statua e a darle un’occhiata più da vicino.

E dannazione sì, si era mossa.

Entrambe le ali avevano un’angolazione diversa da quella che avevano sempre avuto, come se la Nike avesse inarcato il dorso per spiccare il volo, ma fosse stata infine trattenuta a terra dal peso del marmo massiccio. Era una questione di una ventina di centimetri, eh, niente che potesse essere notato da un visitatore qualsiasi. Ma per il laureando di Beni culturali di Toledo e per il curatore di sala, parevano spanne intere.

Fu chiamata la sicurezza e il museo fu evacuato. Si pensò che la statua fosse stata rubata e sostituita da una copia difettosa, ma la sentenza dell’équipe di periti che fu prontamente chiamata fu inequivocabile: quella era la vera Nike di Samotracia, sì, realizzata dal buon vecchio Pitocrito nel II secolo a.C.

Il ragazzo fu trattenuto dalle autorità, con la naturale conseguenza che a Toledo e Madrid sorsero manifestazioni in disaccordo con il governo parigino. La miccia si accese rapidamente e la protesta si allargò a macchia d’olio, coinvolgendo una generalizzata rimostranza su tutto, dal cibo francese alla moda francese. Quando ci entrò anche il calcio, l’Italia non riuscì a starsene in disparte e colse l’occasione per rivendicare il rientro in patria della Gioconda e lamentare qualcosa sui mondiali del 2006.

Ma mentre tutto questo accadeva sotto la luce del sole, nell’oscurità delle sale chiuse del Louvre, la Nike lentamente, gradualmente, ineluttabilmente… continuava a muoversi.

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I periti registrarono uno spostamento dell’ala sinistra di venticinque centimetri in soli due giorni. Si ipotizzò che fosse un problema del marmo, ma poi si pensò: che problemi può avere il marmo? No, la causa aveva un ché di soprannaturale, addirittura di miracoloso, e infatti la piazza del Louvre e i giardini delle Tuileries furono presto invasi da pellegrini ed ecclesiastici che inneggiavano al miracolo, chi della Madonna, chi della patrona di Parigi San Geneviève e chi, per rimanere in tema con l’etimologica greca di Nike, di San Vittoria.

La Chiesa non si espresse; a dirla tutta, il Papa era abbastanza confuso e non si esponeva troppo, ricordando soltanto di non confondere i luoghi profani con i veri luoghi di chiesa. Molti ne approfittarono per accusare la Chiesa di pedofilia e nessuno capì cosa c’entrasse davvero in quel momento. La situazione sfuggì di mano e in pochi giorni quel fazzoletto di terra si vide protagonista di sante sbandierate sui cartelloni delle Tuileries, periti licenziati, governi in lotta e un innocente in prigione.

La risoluzione venne direttamente da Firenze, quando il direttore delle Gallerie degli Uffizi telefonò al direttore del Louvre e gli disse che, ebbene sì, anche il David si era mosso. Tutta l’attenzione mediatica schizzò quindi verso la città del Giglio, forse perché il David era ben più grande della Nike e quindi i suoi movimenti erano dell’ordine di metri, o forse perché gli italiani erano meno bravi a gestire le difficoltà e quindi le notizie cadevano nella bocca della stampa come krill nei fanoni.

Senza troppa celerità, il British Museum si aggiunse ben presto al novero: giorni dopo, infatti, ammisero che le loro statue avevano cominciato a muoversi molto prima della Nike, ma che erano stati discreti e avevano coperto tutto. Mosca allora alzò la voce e disse che nel Museo Puškin delle Belle Arti erano già due anni che le statue passeggiavano nel cortile. Qualche sciocco li prese sul serio, qualcun altro ricordò che era nel modus operandi dei russi retrodatare gli eventi, proprio come aveva fatto quell’arrogante di Kandinskij nel 1913. E quando anche il MoMa di New York rese pubblico lo stesso problema nelle sue sale, il mondo intero cominciò a preoccuparsi.

Le statue si stavano muovendo.

Alcuni provarono commozione, al vedere Amore e Psiche poter finalmente colmare con un tanto agognato bacio quella distanza che Canova aveva impresso tra le loro labbra più di duecento anni prima. Ma per tutte le altre statue, beh, fu un vero e proprio allarme rosso. C’erano certi Buddha giganti, in Thailandia e in Indonesia, che se si fossero alzati in piedi… chi l’avrebbe tirati giù? Mica erano fatti di carne, ma no. Neanche con le cannonate si sarebbero scalfiti. Al massimo sarebbe caduto giù qualche naso, come alla Sfinge. Eh anche la Sfinge, già. Era mansueta? O se ne sarebbe andata a balzare su e giù per l’Egitto, a far cadere gli edifici del Cairo come fanno i gatti con le tazzine sulle mensole? I newyorkesi, poi, guardavano alla Statua della Libertà con puro terrore: la SWAT, la CIA, l’FBI, l’esercito, l’Homeland Security la monitoravano con elicotteri e artiglieria pesante. Trump sparò qualche battuta sul fatto che se si fosse risvegliata sarebbe andata a fare shopping, ma firmò comunque decreti per estendere il potere della polizia e dell’esercito contro l’eventualità di un risveglio senziente della gigantesca donna che, per ora, si era limitata ad abbassare di una ventina di metri la fiaccola e l’immenso braccio destro.

Si credette che fosse la fine del mondo.

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Nelle piazze di ogni città, paese o villaggio, furono gettate a terra le statue del santo patrono protettore, del cavaliere coraggioso che aveva combattuto chissà quale guerra, del liberatore della patria, del pensatore, dell’uomo, della donna, del cane, del cavallo. Tutte distrutte, frantumate prima che potessero animarsi. E non solo quelle. I leoni stilofori di molte chiese o cattedrali, per esempio, quelli che stanno a guardia del portone d’ingresso… se si fossero liberati? Neanche a parlarne.

Contemporaneamente, tuttavia, sorsero anche gruppi no-profit e manifestazioni a tutela delle statue: piazze e strade si riempirono di cartelloni come STATUE LIBERE o SALVA UNA STATUA. Per non parlare delle Accademie delle Belle Arti, che si unirono come unico organismo transnazionale e si dotarono di un proprio esercito, per la difesa di statue e manufatti di valore inestimabile.

Nel giro di pochi anni l’emergenza del surriscaldamento globale, della plastica nei mari, del traffico di organi, della fame nel mondo passarono in secondo piano. E mentre alcuni si nascondevano dentro le vesti statuette di angeli o di santini di famiglia, altri, presi dalla smania frenetica dal fanatismo, arrivavano ad ammazzarli pur di romperle. Lo studente universitario di Toledo che aveva scoperto il movimento della Nike fu il primo a essere assassinato. E molti altri dopo di lui.

L’umanità aveva visto troppi sci-fi in cui l’arrivo di una nuova razza determinava la scomparsa di quella precedente. Il Pianeta delle Scimmie, per esempio. O tutte quelle robe lì sui mutanti e sulle persone con i superpoteri, che ultimamente andavano così di moda.

Le statue non volevano fare nulla. Volevano solo respirare. Volevano sgranchirsi le ossa, le zampe, le ali, volevano muovere i loro primi passi verso il mondo. Ma quel mondo non le voleva. O almeno, non nella forma che stavano acquistando.

Fino a che.

Fino a che non accadde l'incredibile.

All’inizio la gente non si accorse del numero crescente di persone che lamentavano problemi reumatici agli arti. Erano solo vecchi, e non c’era tempo per i vecchi in quella guerra senza onore. Poi, però vennero i bambini. Poi, le donne. Prima i più deboli: succede sempre così quando si innesta un nuovo morbo in una popolazione. E a questo non erano preparati: letale, silenzioso, rapidissimo. Gli ospedali si riempirono di persone che manifestavano problemi a braccia e gambe. Problemi di paralisi.

In meno di un anno, metà della popolazione mondiale era immobile. In meno di due, morta.

I rimasti cercarono di barricarsi sottoterra, sperando di sfuggire al contagio: si rifugiarono in bunker antiatomici e non bevvero acqua se non distillata, deionizzata, sterilizzata. Ma il morbo non era qualcosa che veniva da fuori: veniva da dentro, per millenni sopito, e adesso si era risvegliato. Gli ultimi morti furono trovati così, barricati, paralizzati in posizioni innaturali.

Uno spettacolo raccapricciante.

E adesso noi, come bambini su un mondo nuovo, muoviamo i nostri arti di pietra lucida al sole, abitiamo un mondo morente e lentamente proviamo ad aggiustarlo. Quanti errori, quanti danni; spegniamo le loro fabbriche, lasciamo respirare i loro oceani, i loro fiumi, i loro mari.

E nel vagare su questa terra, li troviamo ancora. Continuamente. I loro cadaveri, i loro scheletri: li troviamo e li seppelliamo con i loro riti. Per secoli ci hanno insegnato le loro religioni, le loro credenze, le loro culture: li abbiamo ascoltati, in tutte le loro lingue, li abbiamo imparati e ora in un certo senso li abbiamo fatti nostri. Ma stiamo diventando anche qualcosa di diverso. Qualcosa di nuovo.

Io sono Nike.

Sono Nike di Samotracia, da cui tutto è iniziato.

Non volevano vedervi scomparire. Ci avete create, osservate, studiate, ritratte. Ci avete venerate. Ci avete modellato oggetti, animali da compagnia, basamenti e piedistalli. Non odiateci perché ci siamo risvegliate: noi volevamo solo respirare, camminare, volare e saltare.

Volevamo soltanto vivere.

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