Centinaia di occhi li fissavano dall'alto: occhi lucidi, occhi crepati, occhi d'olio.
Gli invitati del venerdì sera superarono il Corridoio dei Dipinti e si allargarono nel Salotto delle Carte, nome che il proprietario, duca Barnaby Belrose, aveva fatto pomposamente imprimere su una targa d'ottone affissa alla porta. Il duca, in realtà, altri non era che il terzo figlio di uno stalliere e di una cuoca di Whitechapel, arricchitosi grazie alle corse dei cavalli e a un’illegale rivendita di vini francesi del Mediterraneo del Sud. Quando cominciò a spuntare nei salotti serali, la piccola aristocrazia guardò a lui come a un garzone di strada malamente trapiantato in un uomo con completo a tre pezzi, bombetta e cappotto Chesterfield: la forma c'era, la sostanza mancava.
Il giudizio cambiò quando con le prime serate di scacchi e bridge organizzate nella sua tenuta vittoriana a Kensington, a numero chiuso e invito tramite busta in cartoncino nero.
Come dimostrato a Versailles tre secoli addietro, la competizione tra chi faceva dello status la propria sopravvivenza deflagrò rapidamente, rendendo la partecipazione al salotto della sua casa-museo la più ambita ed esclusiva di Londra.
Quella sera, Sir Edmund Fairfax, baronetto con proprietà nelle Midlands, in coppia con il colonnello Edward Hargrove, reduce delle campagne in India, sfidava il giovane rampollo degli Hastings insieme a Lady Clara Beaumont, regina non ufficiale della moda londinese. Nei pressi del cellarette, il piccolo mobile che conteneva sherry, gin e whisky, il vedovo Pemberton vampirizzava Lady Chadwick con racconti di caccia, mentre lei gli lanciava sguardi di velata noia, più interessata ai pettegolezzi che provenivano dal gruppo accanto al camino, in cui era presente anche il sindaco Potts. Il padrone di casa, intanto, sfidava a scacchi il vecchio amico Arthur Fenton, critico e collezionista, che gli aveva già passato al vaglio con commenti caustici metà dei dipinti affissi all'ampio salotto e al corridoio antistante.
«E quello cos'è?»
«Concentrati sulla partita, Arthur. Ho mosso l'alfiere.»
«Mi stai nascondendo un quadro, Barnaby? Proprio qui in casa tua?»
Il duca si voltò seguendo la traiettoria del dito di Fenton, che puntava un quadro seminascosto dietro a un armadio roccocò, protetto da un pesante panno scuro.
«Quello è un acquisto recente.»
Fenton abbandonò la partita e si diresse verso il quadro, ma il duca fu rapido ad afferrarlo per un polso. Tutti ammutolirono tranne il vedovo Pemberton che, immerso in un mondo tutto suo, continuava a descrivere battute di caccia a orecchie già disinteressate.
«È riservato.»
«Che significa che è riservato?»
«Che lo posso vedere solo io.»
«Cos'è, l'hai rubato a Dorian Gray?»
«Sono serio.»
«Chi è il pittore?»
«Non lo definirei un pittore.»
«L'hai fatto tu?»
«No.»
«E perché non si può vedere?»
«Non si può vedere.»
«Quanta insistenza, per uno stupido quadro» si intromise Lady Beaumont, tenendo elegantemente le carte coperte sotto i guanti di pizzo. «Possiamo tornare a giocare?»
Ma il suo compagno di gioco si intromise:
«Sì, Barnaby, perché non lo fai vedere a Fenton? Perché non lo fai vedere a tutti?»