Ti sveglierai alle 6:55, come ogni mattina. Rinvierai la sveglia una, due, tre volte mentre la consapevolezza di una nuova frenesia giornaliera ti rapirà lo sguardo su uno spiraglio di alba lontana. Ti farai due caffè mettendoti l’eyeliner allo specchio e penserai “dannazione” quando la riga d’inchiostro non uscirà con un angolo di 40º dalla palpebra inferiore del tuo occhio. Ti metterai quelle scarpe décolleté nere che ti ho regalato per il nostro anniversario di chissà quanti anni fa, quando Capri ci aveva abbracciati sotto una brezza profumata di salsedine, e noi ci eravamo abbracciati sotto lenzuola ricamate di seta. Afferrerai il cappotto pesante poco prima di uscire, quello con la pelliccia interna che era di mia madre: oh, sei sempre stata così freddolosa.
Alle 7:30 ti tufferai nella multiforme cacofonia di quella grande metropoli in cui ti sei trasferita, nelle voragini scavate nella terra della metropolitana, stringendo la tua borsetta da lavoro e guardandoti l’orologio da polso. Ma sarai puntuale, come sempre, e aprirai la porta del tuo ufficio alle 8:00. Tra una pratica burocratica e l’altra, forse penserai a me: a quella foresta, l’ultimo luogo in cui mi hai visto, a quella terra scura e odorosa, dove solo gli alti larici ci guardavano silenziosi.
Oh, amore mio, sei così bella oggi.
Staccherai alla pausa pranzo delle 13:30 e mangerai un’insalata nel bar sotto l’ufficio: ci tieni alla linea anche se non ne hai bisogno. Ti vedrai passare davanti alla vetrina specchiata e ti piacerai senza ammetterlo nemmeno a te stessa. E io ti ammirerò da lontano, amore mio, sempre così splendida. Alle 14:30 tornerai ad annegare nella smania quotidiana del telefono squillante, dei clienti scontenti, degli indennizzi, dei documenti. Lavorerai con due mani, ognuna a svolgere una pratica diversa, mentre la tua mente calcolerà percentuali e divisioni, tassi e aliquote. Ti telefonerà tua madre e ti chiederà se va tutto bene, ma le risponderai frettolosa, va tutto bene, non ho tempo, no, nel weekend non posso passare, ci vediamo a Natale. E quando ti chiederà di me, risponderai che non mi vedi da tempo, che non ne vuoi parlare, che ti lasci stare. Il tuo cuore palpiterà, ma poi ci sarà la chiamata successiva, e quella dopo ancora, e quella dopo ancora, e saranno presto le 18:00.
Uscirai dall’ufficio alle 18:02 e quei due minuti persi saranno un dramma, perché li avresti potuti usare per controllare le azioni sull’app della banca, per limarti quell’unghia che si è sbeccata un’ora fa, o per cercare la spazzola che è stata ingoiata dalla borsa. E ti toccherà fare tutto seduta sui sedili consunti della metropolitana, mentre con la mente ricorderai che devi pagare la bolletta di Sky e che devi chiamare il tecnico dell’antifurto, e con l’altra mano ti terrai stretta la borsetta, che l’ultima volta te l’hanno rubata e hai perso mesi di organizzazione mentale. Oh, amore mio. Con i tuoi morbidi boccoli ramati e quel cappotto dai bottoni di madreperla, dovrai andare veloce verso la metropolitana, perché sentirai che la tua giornata ha reso poco, tutta lavoro e niente planning; tu lo ami il planning, tu la vuoi la sveglia alle 6:55 e l’eyeliner messo alla perfezione, tu la necessiti la fretta, l’alimentazione low-carb e il pilates alle 19:00.