Le fornaci incandescenti non conoscevano sazietà. Nutrite con pesanti blocchi di carbone da centinaia di vanghe, ruggivano spandendo fuoco e cenere a ogni ora del giorno e della notte.
Wes si deterse il sudore nerastro dalla fronte e sbuffò. Quello sarebbe stato il suo ultimo lavoro, poi si sarebbe fermato sulla terraferma. Avrebbe messo su famiglia, se Dio glielo avesse concesso.
Si girò verso i compagni e li incoraggiò con battute della sua terra, il Galles, sulle donne, sul Re, sulla Chiesa e su tutto ciò che potesse essere falciato dalla sua creatività. A sera, quando si ritirava nella cabina condivisa, controllava che i ragazzi fossero a posto, che avessero mangiato, che non fossero feriti. Aveva quarant’anni e c’erano tanti sedicenni, lì, sedicenni imberbi che sarebbero dovuti essere da tutt’altra parte. Ma lui lo sapeva, cosa significava faticare, lui che era andato dall’altra parte del mondo per combattere le guerre dei ricchi.
Fu al terzo giorno di navigazione che una nuova macchinista si unì a loro. Wes si accorse che era una donna soltanto perché non spalava a torso nudo come gli altri.
«E tu chi sei?»
«Grace.»
«Perché sei qua?»
«Perché costo la metà di un uomo e sono forte il doppio.»
E lo era, lo era davvero.
L’atmosfera nella sala macchine cambiò: c’era chi la guardava con la fame nelle membra, e chi mentiva. Wes spalava vicino a lei e la teneva d’occhio quando smontava il turno e si dirigeva verso le cabine femminili, dove le inservienti delle sale di prima classe tornavano pulite e pettinate, tenendosi alla larga dalla sua pelle logora di carbone.
Grace era grossa e forte ma aveva il viso di una bambina, e non si accorse di quattro mani che la presero una notte dietro la svolta di un corridoio, spingendola a terra. Fu sordo, il rumore dello zigomo contro il pavimento, ma lo fu di più quello della vanga che spaccava un collo. Grace si voltò in tempo per vedere un uomo cadere e una mano allungarsi verso di lei. Dietro a essa, due grandi occhi chiari incastonati in un viso barbuto chiazzato di sangue. Era l’uomo che per primo le aveva chiesto il suo nome. Si presentò come Wes.
Furono portati di fronte al capitano. Un omicidio non poteva rimanere impunito. L’uomo ascoltò la testimonianza e acconsentì per non giustiziare il fireman che l’aveva difesa. Ma lei sarebbe dovuta scendere al prossimo porto: una donna nelle caldaie aveva già causato troppi problemi. Fino ad allora, sarebbe rimasta chiusa in cabina.
Wes tornò alle fornaci, ma nessuno rideva più alle sue battute. Aspettarono la fine del turno per accerchiarlo: puntavano sulla rapidità e sulla presunzione della giovinezza, ma non avevano fatto i conti con l’esperienza. Wes si prese un gancio da manuale ma restituì con gli interessi, lasciando tre ragazzi ansimanti sul carbone. Due si rialzarono e corsero via. Il terzo restò lì, immobile, senza vita.
No, non di nuovo… Era solo un ragazzino.
Wes sputò sangue e indossò un giaccone, inforcando i corridoi interni e salendo verso l’alto.
«Ehi! Non puoi salire sul ponte passeggeri!»
Ignorò chi lo fermava e salì sotto le stelle. Attirò l’attenzione di un gruppo di gentiluomini che sedeva su sedie finemente intarsiate.
«Tu non dovresti stare qui» borbottò uno.
«Oh, andiamo, Augustus. Se stiamo navigando è anche grazie al lavoro di questo signore.»